La rinascita della scienza politica si è sviluppata in Italia, dopo la Seconda Guerra Mondiale, secondo traiettorie spesso divergenti rispetto alla ‘vecchia’ tradizione europea di studi politici e alla stessa riflessione elitista di Gaetano Mosca. Lungo questo itinerario, la scienza politica italiana è riuscita a delineare i propri confini grazie alla definizione di regole metodologiche e alla costruzione di un’ideologia professionale relativamente coerente. Al tempo stesso, essa ha proceduto a circoscrivere il proprio oggetto d’indagine, definendone i contorni e fissandolo in una sorta di compatta raffigurazione geometrica.
La legittimità della scienza politica oggi non è più posta in discussione e la disciplina ha ormai conquistato una solida posizione nel dibattito intellettuale. Proprio per questo, sembra finalmente possibile guardare alla sua storia con occhi diversi, cominciando a considerarla come ‘prodotto intellettuale’ del Novecento e cercando di comprendere in quale misura essa fosse anche l’esito di uno specifico assetto internazionale. Muovendo da questa prospettiva, i ‘materiali’ raccolti nel volume di Damiano Palano delineano l’itinerario della scienza politica italiana dagli anni Venti fino al principio degli anni Settanta, seguendo in particolare il ruolo, le intuizioni e i nodi problematici della riflessione condotta da Giuseppe Maranini e da Gianfranco Miglio.
Il lavoro di Palano non offre così soltanto un contributo importante alla storia della scienza politica italiana, ma ricostruisce anche le tappe e le dinamiche di esclusione che hanno caratterizzato il percorso di affermazione della disciplina. Domandandosi se la definizione di una specifica immagine di ‘scienza’ non abbia implicato, e forse richiesto, una delimitazione, tutt’altro che inevitabile, dello spettro della politica. E, soprattutto, l’adozione di un’immagine cristallizzata delle ‘geometrie del potere’.
La legittimità della scienza politica oggi non è più posta in discussione e la disciplina ha ormai conquistato una solida posizione nel dibattito intellettuale. Proprio per questo, sembra finalmente possibile guardare alla sua storia con occhi diversi, cominciando a considerarla come ‘prodotto intellettuale’ del Novecento e cercando di comprendere in quale misura essa fosse anche l’esito di uno specifico assetto internazionale. Muovendo da questa prospettiva, i ‘materiali’ raccolti nel volume di Damiano Palano delineano l’itinerario della scienza politica italiana dagli anni Venti fino al principio degli anni Settanta, seguendo in particolare il ruolo, le intuizioni e i nodi problematici della riflessione condotta da Giuseppe Maranini e da Gianfranco Miglio.
Il lavoro di Palano non offre così soltanto un contributo importante alla storia della scienza politica italiana, ma ricostruisce anche le tappe e le dinamiche di esclusione che hanno caratterizzato il percorso di affermazione della disciplina. Domandandosi se la definizione di una specifica immagine di ‘scienza’ non abbia implicato, e forse richiesto, una delimitazione, tutt’altro che inevitabile, dello spettro della politica. E, soprattutto, l’adozione di un’immagine cristallizzata delle ‘geometrie del potere’.
Biografia dell'autore
Damiano Palano è ricercatore di Scienza politica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, dove insegna Comunicazione politica. Membro della redazione della rivista «Vita e Pensiero», ha pubblicato numerosi saggi sulla storia delle scienze sociali in Italia, su alcuni nodi teorici al centro della riflessione contemporanea e, in particolare, sulla ridefinizione dell’ordine spaziale della politica. Presso Vita e Pensiero ha pubblicato: Il potere della moltitudine. L’invenzione dell’inconscio collettivo nella teoria politica e nelle scienze sociali italiane tra Otto e Novecento (2002).